L’INQUILINO

A volte pensava che il torto era stato di sua madre che gli aveva lasciato in eredità l’appartamentino, ma questo era un modo di ragionare da selvaggi. Come incolpare del nostro scivolone chi, facendo squillare il telefono, ci ha fatto camminare sul pavimento bagnato. E poi l’appartamento era carino: minuscolo, certo, ma aveva un delizioso giardinetto e nel corso degli anni si era rivelato un ottimo investimento. Anche se non erano mancati i fastidi. Dal momento che non era posto in cui potesse installarsi una famiglia, gli inquilini rimanevano per poco tempo e nel corso degli anni esso era stato occupato da mariti che piantavano la moglie, da una vecchia signora che non andava d’accordo con la nuora, da giovani militari di carriera e soprattutto da coppiette d’amanti. In fondo a Ernesto non importava nulla, di chi stava nell’appartamento, purché gli pagassero regolarmente la retta. Ed era questo, il problema. Tanto che era arrivato ad una completa diffidenza e per questo chiedeva serie garanzie. Se invece una persona gli garbava, era anche disposto a concederle uno sconto, ma sempre purché fosse solvibile.

-Che cosa significa, solvibile? chiedeva il malcapitato.

-Significa che io devo poterle sequestrare qualcosa, in particolare un immobile, se lei non paga. Lei possiede una casa?

-Ma se avessi una casa mia verrei a prendere a pigione la sua?

-È assurdo che lei questa casa l’abbia a Torino? È assurdo che lei possegga una campagna ma non un appartamento? È assurdo che nel suo appartamento abiti sua moglie e lei abbia bisogno di un’altra casa?

-Capisco. Ma perché ha bisogno di questa garanzia?

E lì lui doveva raccontare le mille disavventure già vissute. Alla fine, che il contratto si facesse o no, era disgustato. Disgustato come un maestro che deve spiegare per l’ennesima volta il teorema di Pitagora.

Per questo, quando si era presentato il dottor Perni, era presto passato dal sospetto all’ammirazione. Non solo questo dentista si esprimeva in un italiano perfetto e scorrevole, ma capiva tutto immediatamente. Discuteva solo le cose che valeva la pena di discutere ed in qualche caso si mostrava generoso. Quando Ernesto gli ebbe raccontato come mai conosceva un paio di lingue straniere, Perni gli disse:

-A questo punto lei vorrà a sua volta sapere qualcosa di me.

-No, rispose Ernesto. Il mio non era un modo discreto di farle domande indiscrete.

Ma il dr.Perni disse che non c’era nulla da nascondere e prese a raccontargli brevemente che aveva una situazione familiare e professionale incerta. Nel senso che non sapeva se si sarebbe sì o no trasferito a Taranto e aveva bisogno di tempo per decidere.

-Sicché, gli disse Ernesto, lei sta per chiedermi di poter lasciare l’appartamento anche prima della scadenza del contratto. Non ci sono problemi.

-Lei mi stupisce, concluse sorridendo il dentista. Capisce le cose prima ancora che uno gliele spieghi. La ringrazio per questa sua disponibilità.

-Non ha molto di cui ringraziarmi. Se lei non fosse una persona onesta e facesse un contratto per tre anni e se poi ne andasse dopo quattro mesi, che potrei fare, la potrei costringere a rispettare il contratto? Con la giustizia che abbiamo in Italia? Qualunque uomo di legge mi direbbe: “il suo inquilino l’ha pagata fino all’ultimo giorno in cui è stato nell’appartamento, che cosa vuole, di più?” 

-Lei deve averne viste di tutti i colori, concluse Perni.

-E di tutti i sapori, aggiunse Ernesto. Tanto che oggi non solo chiedo garanzie immobiliari ma faccio una sorta di radiografia mentale del mio futuro inquilino. Lei per esempio ha un bello scheletro.

-E Lei è il mio padrone di casa ideale, sorrise il dottore. Anche se non saprei dire nulla del suo scheletro, visto che non sono un radiologo.

-Non solo, ma il mio scheletro è nascosto da un bel po’ di ciccia!

La conversazione diveniva sempre più gradevole e quest’uomo, che fino ad un’ora prima non aveva mai visto, gli stava di fronte come un vecchio amico, sereno e disteso. Quando sorrideva, metteva in mostra una chiostra di denti bianchi e regolari divenendo, oltre che bello, simpatico. Eh sì, perché il dottor Perni era alto circa un metro e ottantacinque, era snello, vestiva bene e in totale era pieno di fascino. Per giunta un fascino che si aveva il piacere di scoprire, invece di vederselo sbattere sul muso. 

Quest’uomo deve incantare le donne, pensava Ernesto. Lui stesso, che non era un omosessuale, si era sentito tanto attratto che quando l’altro gli aveva assicurato che non c’era nessun problema, per le garanzie immobiliari, non s’era saputo trattenersi e gli aveva confessato: 

-Credo che di lei mi sarei fidato anche se lei non avesse posseduto niente. Ogni tanto bisogna pur seguire il proprio fiuto!

E invece proprio quella volta commetteva un errore. Non perché Perni fosse un imbroglione ma, al contrario, perché si sarebbe dimostrato tanto pieno di qualità da sconvolgere gli equilibri della sua vita.

 

Lo rivide un mese dopo, puntualmente alla data fissata. Perni telefonò chiedendo il permesso di passare a pagare la pigione e appena entrato in casa notò il buon gusto dell’arredamento, tanto che la conversazione con Elsa prese immediatamente una piega molto amichevole. Anche lui sapeva tutto su divani, quadri, tende, e lei era contenta di parlare con un altro competente. Infine, quando Elsa apprese per caso che l’inquilino non sapeva in quale rosticceria andare a fare uno spuntino serale, nelle vicinanze, trovò naturale, dopo un’occhiata al marito, invitarlo a mangiare qualcosa con loro, à la fortune du pot. E la serata proseguì molto gradevolmente.

Qualche giorno dopo fu poi Marco Perni a telefonare. Chiedeva il permesso di sdebitarsi, invitandoli a cena in una trattoria di sua conoscenza: e anche la seconda serata fu molto piacevole. Dopo quest’incontro, fu la stessa Elsa a dire che la prima sera lo avevano proprio maltrattato, dal punto di vista culinario, e bisognava invitarlo ad una vera cena. Nell’occasione si mise d’impegno a cucinare come sapeva e i suoi sforzi non risultarono sprecati: Marco si rivelò un buongustaio e fece molto onore ai vari piatti. Alla fine, dichiarando che aveva conosciuto dei veri gastronomi, chiese l’onore di invitarli ad un vero ristorante, scoperto da lui nei dintorni d’Acireale, in cui cucinavano un piatto che valeva la pena di essere conosciuto e su cui voleva il loro parere. Ernesto ed Elsa, che assolutamente non avrebbero voluto fargli spendere troppo denaro, resistettero per quanto poterono, ma il dottor Perni pareva tenerci sinceramente, e l’ebbe vinta. 

Per farla breve, divenne un amico di famiglia. I reciproci inviti furono frequenti e le ore passate insieme servirono a scoprire sempre nuovi punti in comune. Tutti e tre amavano la musica classica e la natura. Tutti e tre non erano utopici in politica. Tutti e tre erano miscredenti in campo religioso. Tutti e tre avevano visitato la maggior parte dei musei in Europa e ogni volta che capitava di affrontare un nuovo argomento, manco a farlo apposta, si scopriva che anche in quel campo erano molto vicini.

-Devono averla messa nella nostra stessa infornata, Lei! Ipotizzò una volta Elsa, divertita.

-Per parecchie cose sì, confermò Ernesto: ma ci hanno separati quando si è trattato del successo. Io sono un mezzo fallito e lui è Marco Perni!

-Come dicesse chissà chi! rideva l’interessato. In realtà sono un poveraccio che passa le serate dinanzi al televisore o con un giornale in mano. 

-Perché si rifiuta di andare al Rotary!

-Lei ci andrebbe?

-No, ma me non m’inviterebbero. È questa la differenza.

Non era l’unica. Non solo Marco era più giovane di lui ma, giorno dopo giorno, scoprivano sempre nuove qualità. Oltre ad essere un professionista di buon livello e un bell’uomo, oltre ad avere tutte quelle qualità che rendevano piacevoli le serate, Marco era ricco, molto ricco, e nobile per parte di madre. Non che se ne fosse vantato, non era il tipo: la cosa era venuta a galla quando lui aveva raccontato un aneddoto che li aveva fatti ridere per giorni. E se diceva di essere stato un buon karateka era solo per raccontare com’era stato escluso dai campionati militari perché aveva preso la scarlattina a trent’anni: i commilitoni gli avevano mandato in ospedale un enorme ciuccetto con una cintura nera come nastrino. Sembrava inventato per girare un film a Hollywood: il divo che fa innamorare le spettatrici.

Anche Elsa? 

Ernesto se lo era chiesto già il primo giorno, nell’appartamento, quando aveva percepito il suo fascino e si era chiesto se Elsa sarebbe stata d’accordo. E in quel momento ancora ignorava quante altre qualità, oltre il bell’aspetto e la buona educazione, Marco avesse. In realtà ora Elsa era felice di vederlo, parlava di lui con entusiasmo e confessava serenamente che da quando lo conoscevano la loro vita era più interessante.

-È veramente una compagnia preziosa e se dovesse andarsene ne sentiremmo la mancanza, diceva

-Certamente. È una persona eccezionale, confermava Ernesto. E in cuor suo proseguiva: quando ti accorgerai di essere innamorata di lui?

In sua presenza lei era attraente, spigliata, felice. Emanava quel fascino intellettuale che lui aveva sempre sentito ma che quella situazione riverniciava a nuovo. Ma soprattutto diveniva ancor più donna e lui non sapeva più che pesci pigliare. Lei diveniva splendente per un altro, non per lui, e tuttavia lui l’amava ancor di più, in quei momenti. Quanto a Marco, non che esserne geloso, lui stesso non smetteva di trovarlo affascinante: come avrebbe potuto rimproverare a sua moglie quel che sentiva lui stesso?

Il loro amico al contrario sembrava veleggiare al di sopra di tutte queste cose. Rimaneva tale quale si era rivelato dal primo giorno: gentile, interessante, generoso ma tutto con discrezione. Sempre pronto a manifestare stima e amicizia a Ernesto e sempre pronto a trattare Elsa con squisita cortesia: quasi non si accorgesse che lei era una donna. Ovviamente le faceva qualche complimento, ogni tanto; ovviamente le sorrideva con maggiore tenerezza: ma pareva facesse tutto questo con una sorta di galanteria neutrale, per buona educazione e nulla più. Tanto che Ernesto passò da una preoccupazione normale – cioè che Elsa s’innamorasse di Marco – ad una preoccupazione più imprevedibile e cioè che lui non si accorgesse affatto di lei e che questo la ferisse. 

Era il colmo. Molta gente al mio posto – pensava – cercherebbe una scusa per interrompere questa amicizia ma a me sembrerebbe un crimine. Innanzi tutto Marco non ha fatto nulla per meritare di essere allontanato, poi né lui né Elsa – salvo una punta di civetteria in quest’ultima – hanno minimamente deviato dalla retta via. Infine si diceva che se Marco rappresentava per Elsa una possibile felicità, lui non aveva il diritto d’interferire. 

Passarono così un paio di mesi. L’amicizia del terzetto andava avanti senza scosse ma Ernesto cominciò a preoccuparsi seriamente per Alida. Dalla simpatia sembrava essere passata all’interesse appassionato; poi all’infatuazione e infine, se Marco non si faceva sentire per qualche giorno, sembrò intristire. Lei gli confessò pure che, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, una sera che erano andati al cinema loro due soltanto, lui l’aveva baciata. Ernesto si convinse che, se non era follemente innamorata, ci mancava poco. Bisognava fare qualcosa. 

 

Stavano seduti al bar Iris e aspettavano che il cameriere, un negrone alto due metri, portasse loro i gelati ordinati. La conversazione andava avanti un po’ oziosamente e Ernesto non trovava il coraggio d’affrontare l’argomento. Fu lo stesso Marco che, interrompendo un silenzio occasionale, disse sorridendo:

-Ma tu volevi parlarmi di qualcosa. Posso esserti utile?

-È estremamente imbarazzante, quello che ho da dirti. Vorrei essere sottoterra, vorrei incaricare qualcun altro di parlare per me. Come fosse un esame da sostenere, vorrei che la prossima ora fosse già passata.

Marco lo ascoltava con attenzione, guardandolo fisso. E vedendo che non riprendeva il discorso cercò di aiutarlo.

-Sono stupito. Sei sempre così giustamente sicuro di te, che non immagino che cosa possa imbarazzarti a questo punto. Faccio un’ipotesi: hai bisogno di soldi in prestito? Perché se è questo non ci sono problemi.

Ernesto rise. A quella ipotesi non aveva mai pensato. Anzi, come gli disse, se si fosse trattato di quello, sarebbe stato meno perplesso. Essendo solvibile, chiunque gli avrebbe fatto credito.

-No, il problema riguarda Elsa.

-Sta male?

-Ma no! Sta benissimo. Il suo problema sei tu.

Marco sgranò tanto d’occhi: 

-Io non… Io ti assicuro che…

-Sta’ zitto, gli impose Ernesto, cominciando a riempirsi la bocca di gelato. So benissimo chi sei, che cosa hai fatto e che cosa non hai fatto. So anche che hai baciato Elsa, qualche giorno fa, ma non è questo il punto.

-È successo che…

-Credimi, non ha nessuna importanza. Nessuna. E non è assolutamente il caso di arrossire. Non è nemmeno stata colpa tua, ne sono convinto. Se di colpa si può parlare. Te l’ho detto, non è questo il problema.

-Ne sono contento, disse Marco sollevato. E finalmente prese anche lui a mangiare il gelato.

-Vedi, Marco, tu conosci Elsa da poco tempo e non puoi sapere com’era fino a tre mesi fa. Era normale, se così posso dire. Oggi invece è viva, vibrante, affascinante. Perché è innamorata, ovviamente.

-Di me? Se è vero, guarda che non ho fatto nulla, per farla innamorare.

-Lo so. O almeno, questa è anche la mia impressione. Però a me sembra innamorata di te. Tu che ne pensi?

-Che strana domanda! Hai detto tu stesso che la conosci meglio di me, perché me lo chiedi?

-E tuttavia?

-Beh, mi prenderai per un presuntuoso, ma non è raro che le donne si innamorino di me.

-Ovvio, a momenti mi innamoravo anch’io!

Marco sorrise. Aveva proprio bisogno di qualche battuta che alleggerisse la conversazione:

-Ma va là, tu sei già innamorato di te stesso! E per giunta hai ragione di esserlo.

-Come disse una volta Montanelli di Spadolini, il peggio non è che sia innamorato di se stesso. Il peggio è che ne sia ricambiato.

E stavolta Marco rise di cuore. 

-A questo punto, riprese Ernesto, visto che siamo in Sicilia, non mi rimane che sfidarti ad un duello rusticano. Sai maneggiare un coltello?

-Ed anche la forchetta, se è per questo. 

Poi Marco si fece serio e guardò Ernesto con attenzione:

-Senti, io non ci capisco più niente. Ti ho visto sempre legatissimo ad Elsa. Tu e lei sembrate una sola persona. Gli amici non riescono a concepirvi separatamente, tanto state insieme, ed ora mi vieni a dire che tua moglie è innamorata di me ridendo e scherzando. Che devo pensare?

-Semplicemente che voglio bene ad Elsa e desidero la sua felicità. Se la sua felicità è accanto a te, io non sarò d’ostacolo. Se invece tu rischi di renderla infelice, cercherò di difenderla. Mi pare semplice.

-E a te stesso non pensi?

-Ma non sono già innamorato di me?

-Smettila di scherzare. Allora?

-Allora sono come un padre che va da un giovane e gli dice: Lei intende fare sul serio, con mia figlia, o ne vuole rovinare la vita per un capriccio?

-Ma io non intendo nulla! Ti ho già detto che non l’ho corteggiata, che non ho nessuna intenzione speciale, riguardo a lei.

-Ma ti interessa abbastanza da baciarla, costatò Ernesto freddamente. E Marco si rabbuiò:

-Forse ho commesso un errore. Forse. Scusami se dico una cafonata, ma ci sono momenti in cui, se non baci una donna, è come se le dicessi che fa schifo. Ed Elsa non fa schifo. Chiaro?

-Chiaro. Oltretutto so bene che è anche capace di prendere l’iniziativa. Non è questo il punto. Il punto è: che cosa c’è nel suo, nel tuo, nel mio futuro? E per cominciare, che cosa senti, per lei?

-Amicizia, che vuoi che senta?

-Nient’altro?

-Certo, nient’altro.

-Andiamo male. Vuoi qualche altra cosa? Un altro gelato? Un bicchier d’acqua?

Poco dopo pagarono e andarono a passeggiare lungo il mare.

-Dunque tu senti solo amicizia, per mia moglie. Ma quante vicende d’amore cominciano travestite da amicizia?

-Mi fai uno strano discorso. Come se volessi convincermi a rubarti la moglie. Non è che ne sei stanco, per caso?

-Nient’affatto. Sto benissimo, con lei. Ma non vorrei stare con l’inconsolabile vedova bianca di qualcun altro. Se deve stare con me, deve starci volentieri. Il problema sei tu, te l’ho detto.

-Credo di capire. Forse mi stai dicendo: o hai una seria, lunga, appassionata storia d’amore con mia moglie, o sparisci dal suo orizzonte. Prima che sia troppo tardi.

-Più o meno si tratta di questo, concluse Ernesto, asciutto.

Marco rimase in silenzio e continuò a camminare guardandosi la punta delle scarpe. Infine si passò una mano fra i capelli e prese a parlare con voce bassa, monotona, come di chi ripetesse un testo imparato a memoria.

-Molti si chiedono perché un uomo come me, di cui alcuni dicono poco credibili mirabilia, non abbia una donna, una famiglia, molti amici. Il prossimo mi ricopre di lodi ma alla fine mi lascia solo. Quando avviene che trovi persone con le quali m’intendo benissimo, quando finalmente ho la speranza di un rapporto umano piacevole e disteso, finisce che il giocattolo si rompe. Per parecchio tempo mi sono chiesto perché e infine è mia moglie che ha fatto la migliore diagnosi: tu, mi ha detto, sei San Martino. Un uomo buono che passa per la via e che, senza neanche conoscerti, è capace di darti metà del suo mantello. Ma non rimane con te: è un uomo che continua per la sua strada e ti rimane del tutto estraneo. Secondo lei io do ma non mi do. Tu sei il migliore amico che abbia avuto, mi dice: ma io volevo un amante. O un marito; o ancor meglio un marito che fosse il mio amante, non un amico. Per questo ha voluto vivere lontano da me. Per cercare l’amore prima d’essere troppo vecchia per trovarlo.

-E sono vere, le accuse di tua moglie?

-Temo di sì. Mia moglie m’interessa più di Elsa e tuttavia non so far nulla per conquistarla, per legarla a me. E tu mi chiedi se potrei fare felice tua moglie! Sai, ci sono dei pazzi “inaffettivi” – forse sono gli schizofrenici – persone insomma incapaci di sentimenti seri. Io non sono “inaffettivo” ma sono a basso potenziale. Quello che Elsa non sa è che, se vivessimo insieme, se facessimo l’amore e tutto, lei non otterrebbe da me più di quello che già ottiene. Non sarei diverso da quello che sono, non ci sono orizzonti affettivi da scoprire.

-Ma a me personalmente vai benissimo come sei.

-Perché tu non hai bisogno di nessuno. Non solo hai Elsa ma sei abbastanza forte da regalarla ad un altro, all’occasione. Sia pure per i fini più nobili che si possano immaginare. Tu hai bisogno soprattutto d’alimento intellettuale, sicché il tuo prossimo può essere validamente sostituito da un buon libro o da un articolo di giornale. Forse è così anche per me. Ma mentre di me si stancano tutti, te ti vedo circondato d’affetto. Tanto di cappello.

-In conclusione?

-In conclusione, ho già reso moderatamente ma invincibilmente infelice mia moglie, di cui credevo di essermi innamorato: come potrei rendere felice tua moglie, che per me è solo un’amica intelligente e gradevole? Temo che dovrò sparire. È questo che dovevi chiedermi?

-È una delle soluzioni. 

-Ma mi dispiace.

-Dispiace anche a me. È vero che mi sarebbe dispiaciuta qualunque soluzione, ma mi dispiace anche questa.

-Vuoi che lasci l’appartamentino? 

Ernesto non rispose. Rimase a riflettere tanto intensamente che l’altro non insistette per avere una risposta.

-Senti, Marco, abbiamo un solo problema, Elsa. Noi non vogliamo renderla infelice, giusto? Ma perché dobbiamo andare oltre il necessario? Perché mai dovrei perdere un amico come te col quale sto tanto bene? Perché dovresti cercarti un altro posto, per vivere? Dobbiamo colpire le cellule malate senza colpire le cellule sane, come si fa col cancro.

-E allora?

-È semplice: io dico ad Elsa che sei partito per Taranto, che stai tentando una riconciliazione con tua moglie o qualunque altra cosa. Le dico che mantieni l’appartamentino perché farai delle scappate a Catania per non piantare in asso i tuoi clienti. O magari le dico che te ne sei andato e basta. Di fatto, le tue visite a casa mia diventeranno una rada eccezione, mentre nel frattempo noi c’incontreremo tutte le volte che ne avremo voglia.

-Noi due.

-Sì. Con tutti gli impegni che ho posso ritagliarmi parecchio tempo.

-Pazzesco. La risposta è un sì convinto, ma mi viene da ridere: c’era il pericolo che tua moglie ed io divenissimo amanti e gli amanti nascosti, alla fine, siamo noi due.

Ernesto rise: 

-Noi, amanti? Ma se siamo animali a sangue freddo!

giannipardo@libero.it , 1997

 
L’INQUILINOultima modifica: 2012-07-22T13:13:00+02:00da gianni.pardo
Reposta per primo quest’articolo