SAN MARTINO

La salita era abbastanza ripida e per questo non riusciva a pensare ad altro che ad arrivare in cima. Si concentrava sul movimento delle gambe, stando attento a non superare un certo ritmo, e fu solo all’ultimo momento che vide quella donna di colore, accanto all’auto con una ruota sgonfia, che armeggiava nel suo cofano. Come tante altre volte, appoggiò la bicicletta contro il muro e si apprestò a darle una mano.

– Difficoltà?

– Non riesco a prendere la ruota di scorta. Vede, è qui sotto il baule.

Mentre lui si chiedeva come fare lei gli confessò che non aveva mai cambiato una ruota e che era veramente scoraggiata.

– E poi, nelle altre automobili la ruota di scorta è dentro il baule, no? Perché l’hanno messa là sotto? Meno male che Lei sa come fare.

– Io? Non ne ho la più pallida idea, rise lui. Ma insieme ce la faremo. Non ci possiamo certo arrendere, no?

– Se non si vuole sporcare le mani dica a me quello che devo fare. Guardi come le ho già sporche.

– Non si preoccupi. Ha preso il cric?

– Lei è molto gentile, sorrise la negra, il cric è qui.

E stava per chinarsi a prenderlo, dal lato del marciapiede, quando lui si precipitò a prevenirla: povera donna, era tanto grassa che per lei sarebbe stata una fatica.

Dieci minuti dopo, avendo vinto la solita battaglia con i bulloni delle ruote, stretti al di là d’ogni bisogno, e avendo cambiato la ruota, ripose gli arnesi nel cofano.

– Lei parla un buon italiano, disse alla signora, chiudendo il baule.

– Sono in Italia da dieci anni e lavoro come domestica presso un dentista. Così ho imparato.

– Ha imparato bene. Non tutti ci riescono, sa? Comunque, la saluto.

– Senta… io non so come dirle grazie… ha le mani nere, attenda, le do almeno una fazzolettino di carta, per pulirsi un po’…

Poco dopo Fausto guardava l’auto allontanarsi e stava per rimontare in sella quando perse i sensi. Si ritrovò poco dopo seduto su una nuvola con di fronte un signore, stranamente vestito, il quale, con fare benevolo, si presentò:

– Buongiorno, Fausto. Sono Martino.

– Buongiorno, Martino, rispose Fausto, pensando che anche nei sogni bisogna essere cortesi. Ci conosciamo?

– Forse no. Ma penso tu abbia sentito parlare di me. Ti dice niente l’estate di San Martino?

– Che c’entra l’estate di San Martino?

– C’entra, confermò l’uomo. Io sono quel Martino.

– San Martino?

– Lasciamo stare i titoli, o dovrei chiamarti dottore. Veniamo al dunque. Tu conosci la mia storia, vero?

– La storia del mantello?

– Appunto. Gesù mi ha voluto in cielo per quella mia buona azione ma ovviamente io non sono l’unico ad aver dato una mano ad uno sconosciuto, per pura umanità. Giusto?

– Sì, ma pare che in quel momento parecchie cose andassero meglio di ora, osservò Fausto, che non riusciva a sopprimere un sorriso di divertimento. A quei tempi capitava che l’acqua fosse trasformata in vino, oggi capita che al vino sia aggiunta l’acqua.

– Non essere blasfemo e segui il mio ragionamento. Se Gesù premiasse tutti i viandanti generosi come ha premiato me, tutti andrebbero in giro per le strade cercando di fare una buona azione. Sarebbe un mercato delle indulgenze. Una sorta di svendita promozionale del paradiso, per così dire. Ma se Gesù non premiasse mai chi aiuta il prossimo per strada, chi lo farebbe?

– Io.

– Tu sei fuori mercato. Se sulla strada fosse rimasta con una gomma a terra una ragazza snella e bionda, avresti visto quanta gente le avrebbe dato una mano. Invece poco fa nessuno si è fermato. Per te invece il fatto che si trattasse di una cameriera, negra e grassa per giunta, non è servito a farti tirare dritto. Sei tu ad essere un eccentrico.

– È un complimento?

– Una constatazione. E comunque non è per questo soltanto, che sei premiato.

Fausto rise mentalmente pensando alla domanda che gli sciocchi fanno durante le telefonate alla televisione: “ho vinto qualcosa?” E poi si disse che in sogno si può essere un po’ più sfottenti che nella realtà. In fondo – rifletteva – questo san Martino è frutto della mia fantasia e della mia fantasia posso fare quello che voglio.

– Ho vinto qualcosa? chiese dunque, inclinando la testa e con tono eccessivamente interrogativo.

– Non si tratta di vincere, non è una lotteria, rispose Martino, in tutta serietà. Gesù ha deciso di premiare all’incirca ogni milionesima persona che compie un atto come il mio. E come il tuo.

– Ah sì, sorrise Fausto. Come dànno un premio alla milionesima automobile che passa sopra un ponte a pedaggio. È qualcosa del genere?

– Caro Fausto, dovresti smetterla di sfottere. Anche la pazienza dei santi ha un limite, lo sanno tutti. E io per giunta sono un santo quasi per caso. Quel famoso mantello contavo di cambiarlo presto, era vecchio e malandato, solo per questo ne ho dato via metà. Se fosse stato nuovo non l’avrei certo rovinato. Inoltre, se fossi stato veramente generoso, gliel’avrei dato per intero, a quel poveraccio.

– Ma avresti avuto freddo per il resto del viaggio.

– E infatti gliene ho dato solo metà: come vedi non è che mi sia costato poi tanto, quel gesto. Comunque ascoltami, il premio è che potrai scegliere fra due qualità. L’ultima volta, sei anni fa, è stato fra la bellezza e la ricchezza, questa volta è tra l’intelligenza e il carattere.

– Questo significa che attualmente manco sia dell’una che dell’altro?

– Non ce la fai a non scherzare, nevvero? si rassegnò Martino. No, mio caro: ti è offerta o un’intelligenza straordinaria o un carattere straordinario. Oppure vuoi dirmi che hai già un’intelligenza straordinaria?

– Non mi lamento, rispose serio Fausto. Ma poi scoppiò a ridere e proseguì: Allora, vediamo, intelligenza o carattere. Non saprei. Il carattere, esattamente, che cos’è?

– Perché, credi già di sapere che cos’è l’intelligenza? osservò acido il santo. Comunque deciderai dopo aver sentito gli avvocati.

– Avvocati?

– Nel senso latino di “chiamati qui”. Avremo un avvocato dell’intelligenza, che si chiama Ulisse, e un avvocato del carattere, che si chiama Giordano Bruno. Io vado via.

– Un momento! implorò Fausto.  Non capisco: Ulisse aveva un gran carattere e Giordano Bruno era un genio. Che senso ha che uno difenda l’intelligenza e l’altro il carattere? Si potrebbero agevolmente scambiare i ruoli!

– Come tutti i grandi avvocati. Ciao.

San Martino scomparve e al suo posto stavano comodamente seduti Ulisse e Giordano Bruno. Fausto si diceva che quel sogno era meglio di un buon film.

– Buongiorno, li salutò inchinandosi con un filo d’ironia. Sono dolente che abbiate dovuto scomodarvi per me. Chi parla per primo?

– Parleremo più volte, tutti e due, spiegò Ulisse. Comincio io. L’intelligenza è la luce della vita. Essa mostra la realtà com’è e fornisce la soluzione dei problemi. Essa guida il comportamento dell’uomo. Gli mostra la meta e il modo di raggiungerla. Nel mistero dell’esistenza, l’intelligenza è la luce.

– È tutto? chiese Fausto stupito.

– No, non è tutto. Ma chi parla a lungo annoia. Non hai visto quanto sono brevi le arringhe nei film d’argomento processuale? Ora ascolta Giordano.

Fausto si apprestò a sentire Giordano Bruno e nel frattempo pensava che doveva essere proprio il Paradiso, quello: un posto in cui ci si preoccupa di non annoiare l’ascoltatore perfino durante un processo.

– L’intelligenza è una grande qualità, concesse il filosofo, ma da sola non rende l’uomo stimabile. Sia Enrico Ottavo sia Tommaso Moro erano indubbiamente intelligenti, ma chi stimiamo noi tutti? Tommaso. Non perché fosse più intelligente ma perché seppe morire per non cambiare opinione. L’intelligenza è cinica e può indicare anche la via del tradimento, dell’interesse e del disonore.

– E con ciò? l’interruppe Ulisse. Sei sicuro che l’inganno sia sempre una cosa negativa? Ti rendi conto di quante vite ho salvato, dinanzi a Troia, col mio cavallo di legno? Quanto tempo ancora sarebbe durata, la guerra? Quanti altri massacri sarebbe costata? E chi l’avrebbe vinta?

– Forse qualcuno che meritava di vincerla. Come si vincono le guerre fra gentiluomini: con le armi, non col tradimento.

– Sai che soddisfazione, essere ammazzati con onore piuttosto che vincere con un trucco, sbottò Ulisse, alzando le spalle. Del resto in guerra i trucchi sono permessi.

Poi, presa da dietro la sua nuvola una bottiglia di vino, se ne versò un bicchiere pieno:

– Gradisci?

– No grazie, non a quest’ora, disse Fausto.

– Ma neanche questo è vero, obbiettò Giordano. Non aveva affatto perduto il filo e si limitò a rifiutare il vino con un gesto della mano. Non sempre la furbizia è premiata. Un trucco ogni tanto può anche andar bene, come quello di questo gentiluomo dinanzi a Troia. Ma pensate all’Italia: da quando è cominciato il Risorgimento ha sempre tentato di essere cinica ed astuta, ha sempre tentato di capire in anticipo chi avrebbe vinto una guerra per allearsi con lui, ha sempre dichiarato guerra a colui che la stava perdendo, anche se prima  –  quando pensava che l’avrebbe vinta – era stata sua alleata. Ebbene, che cosa ne ha ricavato, da tutta questa furbizia? Ne ha ricavato la fama d’inaffidabile, per non dire di peggio.

– I suoi trucchi non sono stati abbastanza intelligenti, ecco tutto, stabilì Ulisse. Se fossero stati intelligenti sarebbero riusciti. Come il mio.

– Mi piacerebbe che ti vantassi di meno, gli dichiarò Giordano.

– A me invece sarebbe piaciuto che tu non ti facessi bruciare per sostenere le tue tesi, gli rispose Ulisse, dandogli una pacca cordiale su un ginocchio. Hai un gran carattere, bravo, ma chi ti dice che avessi ragione tu e non Santa Romana Chiesa? E chi ti dice che non aveste torto tutti e due?

– Non capisci o fai finta di non capire? si rabbuiò il filosofo. Il carattere è grande anche quando sbaglia. Quando Cyrano si vanta di “non salire molto in alto ma da solo” dice appunto che il modo di fare una cosa conta più del risultato finale.

– Sciocchezze, riassunse Ulisse. E si versò un altro bicchiere di vino.

– Il carattere sarebbe una grande qualità, riprese poi, in un mondo in cui la maggior parte della gente fosse onesta e leale, avesse il senso dell’onore, avesse perfino la sensibilità estetica per apprezzare la grandezza d’Attilio Regolo, di Jan Hus, e di tutti coloro che, come te, caro Giordano, hanno preferito lo stile della vita alla vita stessa. Ma in un mondo come quello in cui ci si trova a vivere, fatto di omuncoli miserelli e tornacontisti, conformisti e ignoranti, bugiardi più per quieto vivere che per necessità, deboli con i forti e forti con i deboli, a che ti serve, il carattere, se non ad essere un tordo predestinato allo spiedo? Un tordo che finisce arrosto, come te? Se invece di avere una grande anima, caro Giordano, tu avessi avuto una grande intelligenza, o almeno, se la tua intelligenza fosse stata più grande della tua grande anima, avresti detto – più o meno come poi fece Galileo – in fondo, chissà, dopo tutto avete forse ragione voi. Se Santa Romana Chiesa dice che il sole gira intorno alla terra, chi sono io per dire il contrario? E soprattutto, che me ne frega, di chi gira intorno a chi?

– Ulisse, smettila, finirai alcoolizzato.

– Lo dico io che hai più carattere che intelligenza: se non si consuma mai il fegato di Prometeo, anche se un’aquila glielo rosica tutti i giorni, come vuoi che si consumi il mio, che se ne sta tranquillo qui dentro? Si vede proprio che non sei un bevitore. Tieni questa tavoletta di cioccolata. È con le noccioline, come piace a te.

– Quello che tu non capisci, rispose Bruno, prendendo tuttavia la tavoletta, è che proprio l’indifferenza al risultato fa l’uomo di carattere. Tutti i tuoi consigli non tengono conto del fatto che per chi mi somiglia tutti i vantaggi del mondo non valgono la stima che uno ha di se stesso. E che desidera avere anche in futuro. Io sono il mio proprio pubblico, io sono l’unico di cui m’importi il giudizio, io sono per me stesso il mio unico scopo.

– Sei dunque un uomo che non pensa e non vede che se stesso.

– Questo è un colpo basso e immeritato, si dolse Giordano.

– Non ti volevo offendere, sorrise Ulisse: è che questa indifferenza alla vita pratica mi sa di presunzione.

– A me la troppa attenzione ai risultati sa di disonore.

Ulisse si versò il suo quarto – o forse quinto – bicchiere di vino e gettò via la bottiglia ormai vuota. Giordano nel frattempo s’era messo a mangiare il suo cioccolato, continuando a guardare fisso Fausto, finché gli chiese:

– Ti sei fatto un’idea sulla scelta?

– Quasi. Il fatto è che mi aspettavo di dover scegliere fra due qualità, invece a sentir voi si tratta anche di scegliere fra due svantaggi. L’intelligenza può condurre al disonore, il carattere può condurre al disastro.

– Giusto, approvò Ulisse: ma mentre il disonore è una sofferenza dell’anima, che puoi compensare con tutti i piaceri della vita, il disastro non ti offre nessun vantaggio e a volte non ti permette neanche di salvare la vita.

– Una vita che non ha gusto di nulla, osservò Giordano, con una smorfia. Una vita in cui tu stesso sai di essere un fallito dell’anima, una vita in cui chi ti sta vicino ti disprezza magari in silenzio, una vita in cui nessuno ti ama veramente perché non sei amabile. Perché non si può amare veramente chi si disistima. Ma noi qui abbiamo finito. Dico bene?

– Certamente, confermò Ulisse, dando un’occhiata all’orologio. Allora, giovanotto, cosa scegli?

– Ho l’impressione che sbaglierei qualunque cosa scegliessi.

– E allora scegli la cosa di cui scarseggi di più. Carattere o intelligenza?

– Scelgo l’intelligenza. Forse un’intelligenza magica ed estrema, che attualmente non ho, mi farà capire se devo essere un uomo di carattere o no.

– E magari poi lo spieghi a questo Giordano Bruno qui, che si è fatto fregare da quattro preti.

– Tu, con tutta la tua furbizia, sei stato fregato per dieci anni da Nettuno.

– In fondo, anch’io ho sfidato un dio e i suoi amici, e non ho fatto un affare! rise Ulisse di buon umore. E passò un braccio intorno alle spalle di Giordano, che accanto a lui sembrava minuto e fragile.

Fausto li guardò allontanarsi, udendo di tanto in tanto la risata tonante e contagiosa del Greco, completamente ubriaco.

 

SAN MARTINOultima modifica: 2012-07-22T15:50:00+02:00da gianni.pardo
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